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Recensione dal sito https://storiedimusicablog.wordpress.com

MALEDETTI – AREA MUSIC, il nuovo album di Enrico Merlin e Valerio Scrignoli, una originale e dissacrante rivisitazione di otto classici degli Area per due chitarre elettriche.

Due chitarre elettriche rileggono il leggendario ‘International Popular Group’: un’operazione dissacrante e audace che parte dalla musica di Demetrio Stratos e compagni per avventurarsi tra improvvisazione e libertà creativa.

“Un disco dedicato alla musica degli Area, probabilmente il gruppo più rivoluzionario e innovativo della storia della musica italiana, è divenuto l’occasione per noi di rapportarci a quelle sonorità con un approccio personale e dissacrante. La musica che ne nasce non è ripetizione pedissequa, ma tensione verso la contemporaneità e frutto di una visione alternativa”.

E’ una dichiarazione precisa, programmatica, quella di Enrico Merlin e Valerio Scrignoli: i due chitarristi elettrici – diversi per estrazione e orizzonti ma accomunati dalla libertà creativa e dalla voglia di esplorare ai confini tra i generi musicali – sono pronti ad uno dei lavori più ambiziosi delle rispettive carriere: Maledetti (Area Music), una rivisitazione – anzi una “reinvenzione” – originale, dissacrante, iconoclasta, di otto classici degli Area. Maledetti è prodotto da Musicamorfosi, l’attivissima associazione musicale del milanese diretta da Saul Beretta che da quasi venti anni organizza festival, produce musica e dischi senza confini fra i generi, puntando sempre verso progetti innovativi e di grande qualità culturale.

Evaporazione, La Mela di Odessa, Cometa Rossa, Hommage à Violette Nozières, L’Elefante Bianco, Luglio, agosto, settembre (nero), Vodka Cola e Il Bandito del deserto: questi i pezzi degli Area che i chitarristi hanno scelto di interpretare, ovviamente alla luce della propria personalità e assecondando le scintille nate all’impronta in sala di registrazione.

Non un disco di tributo, men che meno una sequenza di cover, ma uno spunto, uno stimolo, un trampolino di lancio per avventurarsi tra le possibilità improvvisative ed espressive offerte dalla musica degli Area. Non è un caso che le due chitarre si addentrino in brani così caratterizzati dalla voce di Demetrio Stratos oppure in pezzi del 1978, nei quali la riconoscibilissima chitarra di Paolo Tofani era assente; inoltre Merlin e Scrignoli lavorano anche su connessioni e soluzioni sorprendenti, tirando fuori citazioni e rimandi che vanno dal tema di James Bond a Joe Zawinul, passando per Miles Davis e King Crimson.

 

Recensione di: Athos_Enrile  dal sito http://www.yastaradio.com

L’ascolto di Maledetti (Area Music), di Enrico Merlin e Valerio Scrignoli, mi ha condotto al passato, alle origini, perché l’impulso irrefrenabile è stato quello di riascoltare la fonte. Chiarisco, non c’era la necessità di produrre esercizio di paragone, ma il materiale genericamente stimolante - e quindi non solo la musica - spinge spesso verso un effetto domino che porta a ricerche non necessariamente includenti un obiettivo chiaro.

Aggiungo: pesare la musica degli AREA di Demetrio Stratos - il vocalist per eccellenza - cercando poi connessioni con un duo strumentale, parrebbe un ossimoro.

Eppure il legame c’è, voce o non voce.

Chiunque abbia conosciuto la musica degli AREA - e chiunque abbia ben chiaro chi sia stato Stratos - sa bene che la libertà, la sperimentazione e il coraggio siano stati elementi imprescindibili all’interno del loro credo musicale, tanto che è sempre risultato difficile dare una collocazione alla band - ammesso che sia utile e intelligente -, che per comodità è sempre stata inserita nel filone prog - tendente al jazz -, un genere che ha sempre permesso di racchiudere e miscelare le varie forme musicali esistenti.

Ed ecco il fil rouge che unisce due progetti temporalmente molto lontani tra loro: l’esagerazione sperimentale di una band seminale, uguale a nessun altra, e un’altrettanta ridondanza musicale, aiutata dai tempi moderni, dalla tecnologia, ma uguale nello spirito.

Mi ha colpito la chiosa di Max Carbone inserita nell’art work: “No celebrazioni sterili, basta dialoghi con gli assenti…”.

I “dialoghi con gli assenti” sono quelli che emergono ad ogni angolo quando si parla, soprattutto, di Demetrio, descrivendolo come l’esempio positivo, il mito, l’irraggiungibile: fatto comprensibile, spontaneo e dovuto.

Ma quello che il duo di chitarristi propone in questo album non è celebrazione, non è tributo, non è coverizzazione, ma piuttosto la presa in carico di materiale di estrema qualità, avendo come obiettivo la manipolazione dei suoni originali con l’intento di dare nuova anima, meglio dire una seconda anima, fornendo così un altro punto di vista, perché la musica regala sempre nuove possibilità.


Enrico Merlin e Valerio Scrignoli sono musicisti talentuosi, virtuosi dello strumento, ma non è esercizio di bravura quello che propongono, piuttosto una… nuova esposizione!

La scelta degli otto brani è dettata certamente dal cuore - pezzi che hanno lasciato il segno - ma anche dalla predisposizione degli stessi ad essere plasmati e rivisitati.

Gli album da cui si attinge sono quindi di epoche diverse tra loro, e a sottolineare l’assoluta voglia di distacco dal passato il fatto che tre tracce provengano dall’album “1978 gli dei se ne vanno, gli arrabbiati restano!”(Hommage à Violette Nozières, Vodka Cola e Il bandito del deserto), del 1978, realizzato senza Paolo Tofani e la sua storica chitarra, strumento con cui Meriln e Scrignoli, al contrario, costruiscono questo album.

Due brani sono tratti da Crac! (La mela di Odessa e L’elefante bianco), disco del 1975, uno da Maledetti (maudits), del ‘76 - l’iniziale Evaporazione - mentre appare d’obbligo l’esposizione con “trattamento” di Cometa Rossa - da  Caution Radiation Area, del ’74 - e Luglio, agosto, settembre (nero), dal primo lavoro, Arbeit macht frei,del 1973.

 

Tutto questo solo per la cronaca, perché l’ascolto del disco regala continue sorprese che penso possano arrivare ad un pubblico sufficientemente traversale: quello intellettualoide, affascinato dalla musica contemporanea, ma soprattutto quello che ama essere attraversato da nuovi suonie dalla loro bellezza; non mancheranno poi gli attenti lettori della relatività musicale, quel teorema, forse non scritto, che permette a chi crea di fornire particolari e differenti chiavi di lettura ad ogni successivo passaggio, stato che può tranquillamente valere anche per il mero fruitore di tale musica, una situazione di piena osmosi ritmico-sonora che appaga un po’ tutti gli attori, chi realizza e chi ascolta.

 

Un disco non facile Maledetti (Area Music),  bisognoso di ascolti successivi per una piena assimilazione, ma una chicca musicale da consigliare a chi cerca un nuovo lato di una figura geometrica solo apparentemente conosciuta.

Recensione dal sito http://inondazioni.it

 

Un disco dedicato alla musica degli Area, probabilmente il gruppo più rivoluzionario e innovativo della storia della musica italiana, è divenuto l’occasione per noi di rapportarci a quelle sonorità con un approccio personale e dissacrante. La musica che ne nasce non è ripetizione pedissequa, ma tensione verso la contemporaneità e frutto di una visione alternativa».

È una dichiarazione precisa, programmatica, quella di Enrico Merlin e Valerio Scrignoli: i due chitarristi elettrici – diversi per estrazione e orizzonti ma accomunati dalla libertà creativa e dalla voglia di esplorare ai confini tra i generi musicali – sono pronti ad uno dei lavori più ambiziosi delle rispettive carriere: Maledetti (Area Music), una rivisitazione – anzi una "reinvenzione" – originale, dissacrante, iconoclasta, di otto classici degli Area. Maledetti è prodotto da Musicamorfosi, l’attivissima associazione musicale del milanese diretta da Saul Beretta che da quasi venti anni organizza festival, produce musica e dischi senza confini fra i generi, puntando sempre verso progetti innovativi e di grande qualità culturale.

Evaporazione, La Mela di Odessa, Cometa Rossa, Hommage à Violette Nozières, L'Elefante Bianco, Luglio, agosto, settembre (nero), Vodka Cola e Il Bandito del deserto: questi i pezzi degli Area che i chitarristi hanno scelto di interpretare, ovviamente alla luce della propria personalità e assecondando le scintille nate all'impronta in sala di registrazione. Non un disco di tributo, men che meno una sequenza di cover, ma uno spunto, uno stimolo, un trampolino di lancio per avventurarsi tra le possibilità improvvisative ed espressive offerte dalla musica degli Area. Non è un caso che le due chitarre si addentrino in brani così caratterizzati dalla voce di Demetrio Stratos oppure in pezzi del 1978, nei quali la riconoscibilissima chitarra di Paolo Tofani era assente; inoltre Merlin e Scrignoli lavorano anche su connessioni e soluzioni sorprendenti, tirando fuori citazioni e rimandi che vanno dal tema di James Bond a Joe Zawinul, passando per Miles Davis e King Crimson.

Dichiara Enrico Merlin: «Quando ci è stato proposto di affrontare il repertorio degli Area, ho pensato che fosse una follia. Musica in cui gli elementi improvvisativi erano generati o strettamente collegati a composizioni molto strutturate, complesse, ricchi di polimetrie e multiritmie. Ci abbiamo lavorato un po’ su e, come per gli altri repertori “sacri”, siamo riusciti (credo) a trovare una via alternativa all’interpretazione dei materiali, sui vari parametri musicali». Rilancia Valerio Scrignoli: «Noi Maledetti abbiamo preso dei frammenti tematici della musica degli Area e lì dentro ci siamo buttati. Lasciandoci andare a quello che ci passava per la testa; molto è improvvisazione e anche il disco è un “live in studio” registrato in sei ore, quasi tutto d’un fiato».

 

Enrico Merlin e Valerio Scrignoli, “Maledetti (Area Music)”: la recensione di http://www.musictraks.com

Enrico Merlin e Valerio Scrignoli hanno pubblicato Maledetti (Area Music), una rivisitazione di otto classici degli Area per due chitarre elettriche. L’album è pubblicato da Musicamorfosi e distribuito da Egea.

Un disco dedicato alla musica degli Area, probabilmente il gruppo più rivoluzionario e innovativo della storia della musica italiana, è divenuto l’occasione per noi di rapportarci a quelle sonorità con un approccio personale e dissacrante. La musica che ne nasce non è ripetizione pedissequa, ma tensione verso la contemporaneità e frutto di una visione alternativa”.

E’ una dichiarazione precisa, programmatica, quella di Enrico Merlin e Valerio Scrignoli: i due chitarristi elettrici – diversi per estrazione e orizzonti ma accomunati dalla libertà creativa e dalla voglia di esplorare ai confini tra i generi musicali – sono pronti ad uno dei lavori più ambiziosi delle rispettive carriere.

Enrico Merlin e Valerio Scrignoli traccia per traccia

Evaporazione apre il lavoro: si accentuano le propensioni jazz e improvvisative, con un lungo lavoro di tessitura notturna. Al contrario La mela di Odessa (1920) affonda a lungo le proprie radici blues, con qualche escursione in colonne sonore cinematografiche e in territorio King Crimson, e con un senso di tensione positiva che percorre tutto il brano.

Cometa rossa si presta a un lavorìo molto minimale delle due chitarre, che si permettono anche qualche divertissement qui e là. Poi nella seconda parte del pezzo il discorso si fa più potente ed elettrico, con presenze inquiete che si fanno avanti e di nuovo qualche sensazione crimsoniana. Ecco poi Hommage à Violette Noziers, che adotta un approccio più sottile, fino a esiti sostanzialmente rock’n’roll: qui si può pensare anche agli Who di Tommy, naturalmente alle prese con il repertorio degli Area.

Luglio, Agosto, Settembre (Nero), probabilmente il pezzo più famoso della band di Demetrio Stratos, è resa con un’iniziale adesione al tema principale, anche se poi i rivoli dai quali le due chitarre si lasciano tentare conducono su vicoli alternativi. L’elefante bianco gioca con qualche effetto e prova evoluzioni quasi parodistiche.

Con Vodka Cola si torna in atmosfere oscure e a movimenti liminari, ma con un finale che sconfina nell’industrial. Il brano scelto per la chiusura è Il Bandito del Deserto, che alterna potenza e sottigliezza.

Lavoro di grande valore anche, se non soprattutto, in grazia delle libertà molto vaste che Enrico Merlin e Valerio Scrignoli si prendono nei confronti di un “canone” musicale di certo molto fluido e flessibile come quello degli Area. Lungi dall’essere un disco di cover, l’album sviluppa gli spunti degli originali portandoli in direzioni diverse, che forse la band originale, in qualche realtà alternativa, avrebbe potuto provare.

 

Recensione dal sito http://www.italiainjazz.it

"Maledetti" Enrico Merlin e Valerio Scrignoli – Electric Guitar Duo

Etichetta discografica: Musicamorfosi

Anno produzione: 2017

Rivisitare la musica degli Area, una fra le formazioni più rappresentative e influenti della scena jazz rock italiana di tutti i tempi, attraverso una propria identità espressiva. Maledetti – Area Music è il nuovo capitolo discografico realizzato dai chitarristi Enrico Merlin e Valerio Scrignoli. La tracklist si compone di otto brani autografati dagli Area. Hommage À Violette Nozieres (Demetrio Stratos – incl. Lost and Found – Enrico Merlin) è una composizione che offre ottimi spunti d’interesse sotto l’aspetto armonico. Qui le due chitarre interagiscono simbioticamente creando delle tessiture particolarmente ammalianti, ingemmate da un tensivo utilizzo della dinamica. Il mood velatamente visionario di Luglio, Agosto, Settembre – Nero (Patrizio Fariselli, Frankenstein alias Gianni Sassi e Sergio Albergoni, incl. Discipline vs. Indiscipline – Enrico Merlin e Desert Song – Valerio Scrignoli) aumenta vertiginosamente il livello di suspense. L’incedere di Merlin e Scrignoli è incalzante, vibrante, impreziosito da un suono tagliente e graffiante. Vodka Cola (Giulio Capiozzo, Patrizio Fariselli, Demetrio Stratos e Ares Tavolazzi, incl. The Pyramid Strategy – Enrico Merlin) è un brano che evoca uno stato di inquietudine misto ad un’atmosfera filmica. Enrico Merlin e Valerio Scrignoli dipingono paesaggi sonori aleatori, dal forte impatto emozionale. Maledetti – Area Music è un disco curato con intelligenza e sapienza dai due protagonisti, un album in cui Merlin e Scrignoli non scimmiottano mai la storica band, bensì donano attraverso la loro personale impronta un abito nuovo ai capolavori firmati dagli Area.

Stefano Dentice

Pannonica è il nome attribuito da Nathaniel Charles Rothschild ad una farfalla scoperta da lui e che lui, banchiere della famosa famiglia inglese, nonché appassionato di entomologia e di jazz, volle dare alla figlia, diventata la mecenate del jazz. È  un nome che racchiude una storia intensa, intrisa di energia e passione di una donna speciale, definita la “baronessa del jazz”, che con le ali libere e leggiadre di una “farfalla” sorvolò l’oceano per raggiungere la “musica”.  E Pannonica è il titolo del disco del trio Martino-Scrignoli-Laviano, recentemente pubblicato da Black Sheep Power Desco Music, l’etichetta discografica di Francesco D’Errico, che mira alla qualità sotto tutti i punti di vista: livello della musica, della registrazione, della confezione, della grafica e della presenza artistica attraverso immagini, illustrazioni e foto che portano la firma di autori prestigiosi.

Inciso presso Godfather studio di Massimiliano Pone con registratore analogico a bobine rigorosamente d’epoca e arricchito dalle illustrazioni dell’artista Claudia Piscitelli, Pannonica è un disco che risponde pienamente a tali requisiti. Il trio è costituito da musicisti talentuosi e dall’indiscussa professionalità, che hanno messo insieme la loro poliedrica personalità, creando un’opera notevole, molto interessante, originale e di altissimo livello. Il sax del noto musicista napoletano Giulio Martino, dal “suono secco, diretto, privo di fronzoli” che “ha un respiro internazionale…al di fuori di schemi propriamente nostrani” (Flavio Caprera) crea atmosfere raffinate e intense con suoni e fraseggi che ti arrivano dentro, regalando immagini e raccontando storie musicali. In questo caso ti proiettano nell’anima della donna a cui diversi musicisti hanno dedicato le loro composizioni. Le “corde” di Valerio Scrignoli, chitarrista eclettico milanese, esplorano il jazz in tutti i suoi anfratti, entrano nella forza vitale del rock e del pop, creando fusioni e cocktail di suoni interessanti, effetti elettronici compresi. Alfredo Laviano, batterista e percussionista marchigiano, ha la capacità di unire gli ingredienti ed i colori per tessere sonorità e ritmi duttili e che s’inseriscono nella trama musicale rendendola più gustosa e ammirevole, proprio come quando realizza le sue specialità gastronomiche o i suoi dipinti, altre arti di cui è appassionato e creatore.

Un omaggio a Pannonica non poteva, quindi essere migliore. I tre musicisti hanno rivisitato brani dedicati da famosi jazzisti a questa straordinaria donna, in versioni rese molto particolari da contaminazioni con generi musicali diversi e ben assemblati.  Il rock, il pop, l’elettronica si fondono col jazz, caratterizzando i brani e rendendoli uno più interessante e diverso dell’altro. Una singolare interpretazione di Tonica di Kenny Dorham apre le sequenze delle tracce. Le sonorità di percussioni, che ricordano le campane tibetane, sono l’intro della celeberrima e “galeotta” ‘Round Midnight di Thelonious Monk, seguite dal sax che, con la sua voce calda e delicata, ne ricama il tema entrando in punta di piedi nell’anima, che in un crescendo di note raffinate sprigiona un’esplosione di emozioni in chi ascolta. Pannonica di Monk è il terzo brano: introdotto dalla voce del sax, sfocia in un rock coinvolgente e trascinante, piacevolmente anni’70. Gli accattivanti accenni blues di Ba-lue bolivar ba-blues-bolivar, con un indovinato accostamento elettronico, sono stuzzicanti ed allettanti.  Vivace si presenta la versione di Nica di Sonny Clark con gli interventi di Scrignoli, Maestro degli effetti elettronici, i cui echeggiamenti fanno da sfondo anche al brano successivo, Poor Butterfly, di Reimond Hubbell e John Golden, dove il battere delle ali “musicali” volteggia nell’aria trascinato dal vento del sax. L’atmosfera cambia completamente con Nica’s dream, con gli interventi sibilanti di Laviano ed un ritmo che s’inframezza tra sax e chitarra in modo accattivante. Ancora Monk, determinante presenza nella vita di Pannonica e in quella del Bebop, di cui era definito il sacerdote, nel brano Coming On The Hudson, appare con una bella interpretazione del trio. Nica Steps Out completa la bella sequenza con frullii di ali degli strumenti del trio che fanno decollare la musica in una dimensione che oltrepassa il tempo e lo spazio…

La musica bella è così: ti fa lievitare in un mondo che sospende il tempo e ti lascia volare leggero grazie alle ali di farfalle come quelle di “Pannonica”, avvinghiate con passione alle note jazz.

 Daniela Vellani

DI VI KAPPA 3

«Oximoron»

Negli ultimi tempi diversi musicisti jazz hanno fatto propri vecchi brani rock. Il duo Pasborg/Storløkken, ad esempio, fa di "Paint It Black" di Mick Jagger e Keith Richards uno dei suoi cavalli di battaglia.

E' cio' che avviene anche qui: si prendono le mosse da "Paint It Black" e si prosegue con 15 altri brani dei Beatles e dei Rolling Stones.

Il trio Di Vi KAPPA 3 non ha nulla a che vedere con i boscaioli norvegesi, a cui il nome del gruppo forse potrebbe fare riferimento. Sono italiani, e sono musicisti jazz (e rock) purosangue, evidentemente specialisti nella creazione di versioni proprie, a tratti estremamente azzeccate ed originali, dei "grandi classici". In precedenza si sono dedicati ai Talking Heads (leggete sotto), Lou Reed e David Bowie, mentre questa volta scelgono i Beatles og Rolling Stones.

Incontriamo la vocalist (ed oltre), Kathya West, che ha gia' collaborato con Gallo. Ha una voce bella e sensibile che si adatta perfettamente al lavoro dei due chitarristi: Valerio Scrignoli e il gia' citato Danilo Gallo. Quest'ultimo ci e' noto come bassista e fondatore dell'etichetta/collettivo El Gallo Rojo. Questo e' un trio affiatato, che sorprende con musica bella ed esaltante.

La partenza e' ottima. "Paint It Black" viene resa con toni piu' soffusi e delicati di quelli spesso utilizzati da Jagger e compagnia. Ma c'e' comunque qualcosa degli Stones nei tre italiani; Credo che nei giorni bui preferirei addirittura questa versione all'originale.

Poi, "Lucy In The Sky With Diamonds" di Lennon/McCartney viene resa con grande originalita'. Il bello di questo trio e' che rende questi brani in maniera personale ed estremamente affascinante. Con la voce della West, che si avvicina, ad esempio, a quella di Björk o di molte delle giovani cantanti che si ascoltano al giorno d'oggi, questa non e' una semplice collezione di cover, ma un disco di brani che sono stati fatti propri dal trio.

A seguire, in rapida sequenza, "Wild Horses" (Jagger/Richards), "Blackbird" (Lennon/McCartney) - molto bella, "Love Is Strong" (Jagger/Richards), "While My Guitar Gently Weeps" (George Harrison) in una versione celestiale, "Lady Jane" (Jagger/Richards), "Get Back" (Lennon/McCartney), "And I Love Her" (Lennon/McCartney), "Honky Tonk Women" (Jagger/Richards), "She’s Leaving Home" (Lennon/McCartney), "(I Can’t Get No) Satisfaction" (Jagger/Richards), "Here Comes The Sun" (Harrison), "Brown Sugar" (Jagger/Richards) e "Across The Universe" (Lennon/McCartney), prima della chiusura con «Simpathy For The Devil» di Jagger e Richards.

Dunque la discussione puo' riprendere da dove si era interrotta! Chi ha scritto i brani migliori? Jagger/Richards o Lennon/McCartney? In realta' era George Harrison ad essere il piu' dotato? Questa e', per inciso, la mia personale opinione, ma non ha alcuna importanza.

In questo disco, brani molto noti sono presentati in maniera efficace ed affascinante. La musica e' aggiornata allo scenario del 2017, e la cantante Kathya West mostra davvero la sua bravura. Molto di piu', credo, di quanto abbia fatto nel disco "There Inside The Dark" col gruppo The Rape, dove ritroviamo anche Danilo Gallo (recensito qui). Si ascolti, ad esempio, la bella versione di "Blackbird", in cui starebbe benissimo la tromba di Palle Mikkelborg.

Questo e' un bel disco, che temo non verra' ascoltato da molti qui al nord, purtroppo. E invece questo trio sarebbe perfetto per i programmi di molti club norvegesi, perche' questa e' musica da ascoltare dal vivo! Bella ed originale!

Jan Granlie

Di Vi KAPPA 3 - Vicious 
Scritto da: Andrea Giuseppe Gaggero per Jazz Convention
18 Giugno 2017

Di Vi Kappa Records - 2016
Danilo Gallo: basso, chitarra acustica, effetti
Valerio Scrignoli: chitarre, effetti
Kathya West: voce
«Il sincronismo è il pregiudizio dell'Oriente; la causalità quello dell’Occidente moderno» e anche «quello che ci accade è quello di cui abbiamo bisogno». Una interpretazione errata, una "coincidenza significativa", hanno fatto sì che dovessi/volessi recensire questo Vicious dei Di Vi Kappa3 finito, non casualmente, nel mio pc. Dopo decenni di ascolti ripetuti di "altro da questo", altro non capito sovente ma sempre con l'intenzione di capire per andare oltre l'incomprensione, leggendo e rileggendo chi pareva aveva compreso e conosciuto, mi trovo oggi a Voler scrivere di un disco i cui riferimenti sono sufficientemente "altri" per costringermi a movimenti cauti, quasi in punta di piedi. Al Duca Bianco continuo a preferire quello Nero, ai Velvet i Sao Paolo, anche se oggi trovo (finalmente!) un assai maggior godimento e stimolo nel seguire le imprese di Jimi Hendrix e John McLaughlin che di tanto jazz putrefatto. Davis ed Evans l'avevano ben capito e anche grazie a loro so ora apprezzare altri suoni, altre estetiche. Qui, sotto una sigla anonima e divertita, si celano tre magnifici musicisti: Danilo Gallo (basso, chitarra acustica, effetti), Valerio Scrignoli (chitarre, effetti) e Kathya West (voce). Per loro ammissione il gruppo nasce per amicizia e per caso e sortisce presto la presente incisione e concerti sparsi per il mondo. Il repertorio, scelto con finezza, estrema cura e mano felicissima si muove tra Lou Reed e Jim Morrison, i Talking Heads e i Nirvana, David Bowie e i Simple Minds. La formazione, senza la sovente ingombrante batteria, si regge sul magistero di Gallo e Scrignoli, ma sono le doti vocali e interpretative di Kathya West a fare di questa incisione (diretta e quasi low-fi?) una piccola gemma. Gemma perché sa evitare, partendo da tutt'altri presupposti, il trash involontario della cover band, perché in un mondo di saturo di suoni saturati, sceglie il camerismo, la concentrazione e il silenzio del "meno è più". Gemma nascosta tra le pieghe di un mercato (discografico?) sbronzo e ipertrofico anche solo pensabile da chi ha scelto la produzione alternativa. Oltre la scelta è infine la resa dei brani a fare di questo Vicious un disco di grande seduttività, nera e sottilmente malata. Del tutto inutile scegliere tra i brani, ma Space Oddity merita la menzione, del tutto inutile "descrivere" ciò che accade, solo ascoltate. Infine una speranza e insieme un augurio: che questa singolare prova possa essere l'inizio di un rapporto proficuo con la canzone e la voce (ma l'uscita di Oxymoron sul repertorio di Beatles e Rolling Stones ne è conferma), rischiando ancor più su un repertorio proprio. In altri paesi, meno canterini e forse con meno spiagge assolate e affollate, il connubio tra canzone d'autore, pop, rock e jazz è già stato realizzato con esiti sovente fragranti. Qui un passo importante nella giusta direzione è stato mosso. Grazie!

Eleonora Bagarotti
"Libertà" 02 Marzo 2007
Piacenza - Applaudita serata allo Spazio "Le Rotative" con i progetti "Changing Trane" e "Welcome"
Coltrane, un omaggio dal cuore
Ovazioni al trio di Scrignoli e all'ottetto di Di Castri
Quella del chitarrista Valerio Scrignoli, del saxofonista Giulio Martino e del percussionista Alfredo Laviano è stata una rilettura di Coltrane in chiave moderna e liberamente personale. Nessuna volontà di "scimmiottare" il grandissimo musicista, caso mai di trasmetterne il nucleo artistico. Questo è emerso chiaramente in Afro blue, brano composto da Mongo Santamaria ma molto amato da Coltrane, e nei classici come Naima, ballata completamente rivista dal trio, After the rain e Dear Lord, per le quali si sono levate ovazioni.
Tecnicamente ferrato, il trio ha iniziato la performance con la chitarra "a fil di voce" e un sottofondo di carezze di batteria. Le atmosfere si sono fatte più ritmate e roboanti, lungo il percorso in cui il sax di Martino ha saputo vibrare di grande energia. In certi finali, la chitarra synth di Scrignoli ha virato al rock con i suoi ripetuti effetti (il nome dello strumento indica un sintetizzatore musicale predisposto per esserne controllato). Originale l'uso delle percussioni del bravo Laviano.


“Fedeltà del suono”
Giugno 2007
La formazione che da vita a questo lavoro è a dir poco inusuale. Chitarra, sassofono e percussioni non sono abituati a ritrovarsi insieme da soli, eppure i tre spericolati protagonisti di questo tributo a John Coltrane, hanno scelto una tale soluzione per realizzare il loro itinerario discografico. Itinerario, o meglio percorso intorno alla statuaria figura del gigante di Hamiet, che con le ascetiche astrazioni, i nitidi contorni delle ballads e la propria forza interiore ha segnato una svolta nel linguaggio afroamericano dagli anni '60 fino ai nostri giorni. Su questa base il Trio ha costruito una ricerca, più che una rivisitazione di coltrane, attraverso i filtraggi della chitarra di Valerio Scrignoli, la poderosa voce del tenore di Giulio Martino e il drummin' percussivo di Alfredo Laviano
. Ne viene fuori un' opera dalla connotazione tinteggiata da macchie di colori contrastanti, che appaiono nel susseguirsi dei tredici brani, da quello d' apertura Afro Blue, a quello di chiusura Wise One, Il rincorrersi delle strutture introduce l'ascoltatore in un viaggio a tappe, in cui l'alternarsi degli assoli, offre a ciascun musicista una progressiva opportunità di esporsi nei primi piani. Gli sfondi ad effetto della chitarra ed il continuum percussivo della batteria rappresentano un canovaccio ben architettato per il sassofono, che assume quasi sempre un ruolo centrale. Particolarmente suggestiva risulta la splendida Naima: alle spalle del sognante sassofono si muove, con un' armonizzazione fumosa,una allucinata chitarra. Scrignoli disegna senza cadere in grossolane emulazioni, alcune ambrature sintetizzate di Frisell, mentre in altri passaggi sfoggia talune acidità blues tipiche di Scofield. Laviano dal canto suo, propone una ritmica variegata nei suoni, non invadente calibrata in un misurato sottolineare gli slanci solistici dei compagni d'avventura. Giulio Martino già ascoltato in altri significativi contesti, offre un personalismo timbrico di qualità e quantita, in cui convince l'intelligente duttilità usata per effettuare un'arguta sintesi melodica del Trio. Dunque, un lavoro nel suo complesso apprezzabile in cui, tuttavia, si denota qualche momento troppo ridondante. Ciò non svilisce il progetto, ma ne determina alcune cadute di tensione, elemento fondamentale lo stupefacente verbo coltraniano.

 

Alberto Marolda
”Roma” Giugno 2007
Altra ottima serata, per il "Nick La Rocca Jazz Festival"nel grande parco di villa Bruno a San Giorgio a Cremano.Un doppio palco in sequenza con il giovane cantautore Lino Volpe e la sua agguerrita band e, a seguire, l'interessante esperimento multimediale del sassofonista Giulio Martino. Davanti ad un pubblico a ranghi molto attenti e completi, i due concerti hanno decisamente impressionato per la loro composizione e per gli argomenti artistici che hanno saputoaffrontare...La seconda esibizione è stata addirittura anche più interessante per il suo carattere di novità.Giulio Martino al sax, Valerio Scrignoli alle chitarre, Laviano alle percussioni e la splendida ed ammaliante Debora Mancini, allo strumento "voce narrante" hanno ipnotizzato ed irretito i molti rimasti, con il bel racconto della vita di John Coltrane. Ascoltiamo sul nostro Ipod quel fenomeno denominato Audio Libro, ma mai eravamo riusciti ad essere presenti dal vivo alla realizzazione di un' opera del genere. Tutti si sono trovati di fronte alla proiezione della vita del guru Coltrane, con l'indubbio vantaggio di poter filtrare la bravura del gruppo con le proprie barriere interpretative. Un continuo saliscendi di racconto a voce, ritmiche, sax e chitarra, che ha traghettato gli astanti sino a notte fonda, per un applauso di più di dieci minuti.Davvero interessante,e da seguire per il futuro, se si considera che, oltretutto, il gruppo era alla sua prima esibizione in pubblico con quest 'avvincente opera di vita vissuta.


Lorenzo Viganò
“Corriere della Sera Magazine ”
20 aprile 2006
"Mettere mano alla musica di Coltrane è sempre rischioso. Ma Scrignoli, Martino e Laviano lo fanno con rispetto, inventiva e la giusta spregiudicatezza. Le riletture sono raffinate (Naima) e trascinanti (Like Sonny). E loro ben affiatati."

Stefano De Stefano
“Il Corriere del Mezzogiorno”
Mercoledì, 14 giugno 2006
“ChangingTrane”, in un cd rivive la musica di Coltrane.

In tempi di proliferazione indiscriminata di dischi di matrice jazzistica, la prima curiosità di questo album che cattura l’ascoltatore è la formazione, piuttosto insolita per un trio: chitarra, sax e batteria. Una sonorità cioè priva sia dell’immancabile sostegno ritmico del contrabbasso sia di quello più ovviabile, in presenza della seicorde, del pianoforte. Eppure appena inizia a suonare, “Changing Trane - The music of John Coltrane”, il nuovo progetto musicale del sassofonista napoletano Giulio Martino costruito insieme al chitarrista Valerio Scrignoli e al batterista Alfredo Laviano, cattura subito l’orecchio per l’originalità delle timbriche, per la continua imprevedibilità degli impasti, per la capacità di dialogo, mai scontata, fra i tre strumentisti. Che ovviamente si avvalgono - come da titolo - del sostegno anche compositivo del grande Coltrane, come nel caso di una sospesa, lunare versione di “Naima”, la struggente ballade che il maestro dell’improvvisazione modale dedicò alla moglie. Qui il tema scandito da Martino sembra accomodarsi su un sofà di accordi galleggianti, inanellati dalla chitarra di Scrignoli. Pronto ad irrigidire il proprio suono nel più graffiante “Fifth House”, in cui gli accordi strappati, quasi rockistici, sostituiscono senza lasciare rimpianti il lavoro del basso che non c’è. E su questa dualità - tipicamente coltreniana - fra rarefazione e stridore si colloca anche la sequenza iniziale aperta dall’avvolgente “Afro blue” di Mongo Santamaria, poi subito “contraddetta” dalla più sincopata “Like Sonny”, dove tutti gli strumenti - in particolare la batteria - giocano a riempire gli intervalli incrociati degli altri. E come non lasciarsi poi trasportare dal mistico “Dear Lord”, in cui una chitarra che fa il verso ai tappeti armonici di Bill Frisell fa da sfondo ad una delle sortite sassofonistiche più convincenti del disco, sia per potenza che per linearità sonora. L’altra faccia del cd sono invece le composizioni autografe dei tre componenti del gruppo: “Iskra” di Giulio Martino, “Nana del nino” di Alfredo Laviano e “Three shades of blue” di Valerio Scrignoli. La prima è un esercizio vocale del tenore, conciso ed intenso. Il secondo è una seducente sequenza di accordi di chitarra che riporta al Metheny più sperimentale - quello dei primi dischi targati Ecm. Mentre il terzo, infine, esalta ancora una volta il dialogo fra la concretezza narrativa del sax e l’impalpabile oniricità della chitarra.

FrancescoUghi
“JAZZIT”
Luglio2006

...occorre fare una premessa: nessuno si aspetta di trovare in un omaggio a Coltrane tracce della presenza di Coltrane, perchè questo sarebbe difficile, laddove non del tutto impossibile. Il compito dell'ascoltatore, o del critico, deve essere allora quello di verificare l'originalità del prodotto, e stabilirne l'utilità. Inoltre, affrontare il repertorio coltraniano è sempre un rischio, soprattutto se si ha il coraggio (e la presunzione) di volerlo personalizzare; "Changing Trane", realizzato dal trio Martino/Scrignoli/Laviano, affronta il rischio con rispetto (com'è giusto che sia) e intelligenza, alternando le cover a composizioni originali che rievocano in qualche maniera il mondo coltraniano. Ne è un esempio il brano d'apertura, Afro Blue, una sorta di rilettura di My Favourite Things. Di "Changing Trane" piace soprattutto la formula scelta dal trio per riarrangiare le ballad; così Naima, la chitarra di Scrignoli disegna uno sfondo onirico su cui si posa il suono elegante di Martino.

Martinellii
“Musica Jazz”
Agosto/settembre 2006
Affrontando Coltrane, specie al sassofono, si rischia sempre l'inutile imitazione o l'omaggio che ingessa l'originale in un oggetto da museo, traendone l'inspirazione più vera: l'inesausta spinta alla ricerca. I tre musicisti che danno vita a questo omaggio hanno itelligentemente scelto di "cambiar treno": restituire temi scritti da Coltrane o a lui associati (più tre composizioni originali) in maniera del tutto originale, basata unicamente sulla propria identità musicale collettiva. Le atmosfere sono pastello, quasi cool; il discorso è sommesso ma non meno intenso. L'approccio funziona prevedibilmente meglio nei blues e nelle ballad, che sono la maggioranza del repertorio; particolarmente riuscite le riletture sospese, quasi attonite, di melodie come Dear Lord e Naima ma anche una danzante After The Rain. La forza espressiva di Coltrane non è richiamata attraverso il volume o la concitazione ma dal teso interplay. Al di là delle singole doti tecniche, colpisce la capacità di ascolto e di sintesi...............

Marco De Masi
"JAZZITALIA"
agosto 2006
Una rilettura moderna delle musiche di John Coltrane, ma non solo. Per chi infatti si aspettasse un disco di maniera, ricalcato sugli stilemi sassofonistici coltraniani, non troverà conferma nella musica di questo interessante "Changing Trane", in cui la voglia di aprire i confini stilistici alla comunicazione espressiva, sembra essere il vero, e forse l'unico, punto di contatto col sassofonista di Hamlet. Sì, perché dalle note di questi brani traspare la volontà di suonare una musica libera da schemi ed etichette, che insomma cerca di non porsi dei limiti. Il dinamismo dell'interazione fra le parti, i giochi di dialogo, e gli impasti timbrici, rivelano piuttosto presto nell'ascolto la vera natura di questo progetto, che di Coltrane preferisce trasmettere la poetica e il messaggio artistico, piuttosto che ricalcarne lo stile. Detto ciò rimane poco altro da aggiungere. La rilettura del repertorio coltraniano è decisamente originale, come peraltro lo sono gli stili strumentali dei tre musicisti: Scrignoli, affidandosi ad un ampia gamma di colori, passa dalla stesura di fluttuanti tappeti sonori ad una condotta ritmata ed incalzante; Martino , che neanche per un momento cade nella tentazione di citazioni stilistiche, si esprime in un linguaggio contemporaneo ed originale, senza inciampare nella retorica; e per ultimo Laviano, dinamico e fantasioso, pronto ad interagire con ogni spunto solistico dei suoi compagni. Un disco coerente e ben riuscito.

DISCOSHOP
estate 2006
"Affrontando Coltrane, specie al sassofono, si rischia sempre l’inutile imitazione o l’omaggio che ingessa l’originale in un oggetto da museo, tradendone l’ispirazione più vera: l’inesausta spinta alla ricerca. I tre musicisti che anno dato vita a questo omaggio hanno intelligentemente scelto di “cambiar treno”: restituire i temi scritti da Coltrane o a lui associati (più tre composizioni originali) in maniera del tutto originale, basata unicamente sulla propria identità musicale collettiva. Le atmosfere sono pastello, quasi cool; il discorso sommesso ma non meno intenso. L’approccio funziona prevedibilmente meglio nei blues e nella ballad, che sono la maggioranza nel repertorio; particolarmente riuscite le riletture sospese, quasi attonite, di melodie come Dear Lord e Naisma ma anche un danzante After The Rain. La forza espressiva di Coltrane non è richiamata attraverso il volume o la concitazione ma dal teso interplay. Al di la delle singole doti tecniche, colpisce la capacità di ascolto e di sintesi."

GIORGIO COPPOLA
settembre 2006
Ed allora ci si domanda, ma che senso ha oggi pubblicare un nuovo disco dedicandolo a lui? Non avrebbe senso se la dedica fosse fine a se stessa, ma qui il discorso intrapreso dai musicisti è molto più ampio e molto più interessante: Coltrane come punto di partenza, abbandonando l'idea che egli sia il punto d'arrivo. Questi tre talentuosi jazzisti nostrani hanno avuto l'ardire di estrapolare il seminato di Coltrane, e dimostrare come da quei semi nascono frutti capaci di avere l'aroma del sassofonista, ma un gusto tutto personale. Questa oggi può essere la unica e vera lettura del lavoro affrontato da Coltrane nella sua vita, poichè egli non si è limitato ad affinare una sublime tecnica, nè ad affrontare con grandi capacità il costrutto delle composizioni, ma ha sviscerato l'anima di uno strumento, che ha vivisezionato sino a farne un tutt'uno conl'uomo, arrivandolì dove nemmeno Parker riuscì."Changing Trane" può essere un titolo appropriato ma anche fuorviante: non è il "cambio" il tema fondamentale ma la prospettiva diversa dalla quale si vede l'artista, e da questa nuova visuale parte il trio ricco della esperienza che da lui ne hanno tratto. Anche per questo il trio è del tutto atipico, Sassofono (Giulio Martino), Chitarra (Valerio Scrignoli) e Percussioni/Batteria (Alfredo Laviano), un ensemble spoglio ma insieme ricchissimo di pathos ed affiatamento. I suoni sempre puliti e limpidi (ascoltate l'iniziale "Afro Blue" e rimarrete a bocca aperta - il suono di sax mi ha impressionato come quella volta che ascoltai George Coleman suonare nel disco "My Horns Of Plenty"), gli assoli coinvolgenti, le riletture discrete che cedono all'incalzare del groove: quel fuoco che Coltrane insegnò essere al centro di ogni gruppo che suona e che è la fonte di energia e di ispirazione per ogni musicista. Anche le (poche) composizioni originali traggono spunto dal lavoro e dall'insegnamento del Maestro, per un cd che non potete assolutamente farvi sfuggire. Perchè come dice Coltrane (la cui frase è riportato all'interno della copertina) "non c'è mai una fine. Ci sono sempre nuovi suoni da immaginare e nuovi sentimenti da scoprire".
Olindo Fortino
"Musica Jazz"
ottobre 2006 - Teano Jazz Festival
Tra riletture (Naima, Wise One, Dear Lord) e brani originali, il trio formato dal sassofonista Giulio Martino, dal chitarrista Valerio Scrignoli e dal batterista Alfredo Laviano ha sintetizzato momenti e contenuti chiave dell’epica coltraniana con un linguaggio elettroacustico matericamente intenso e cautamente febbrile.


Antonio Gentile
"Percussioni"
ottobre 2006

Un trio italianissimo di jazzisti, Valerio Scrignoli alle chitarre, Giulio martino ai sax e Alfredo Laviano alla batteria, ci propone una personalissima rilettura del repertorio del Coltrane più classico. Si tratta di una rilettura molto personale, assolutamente fuori dai canoni del jazz tradizionale. La formazione senza basso cerca sonorità che sarebbe facile definire towneriane, ma che risentono anche di altre influenze del jazz contemporaneo. Il risultato è quello di un lavoro molto raffinato ed elegante, ennesima prova del valore attuale dei jazzisti italiani. Alfredo Laviano si distingue per un drumming sempre perfettamente inserito nelle atmosfere raffinate degli arrangiamenti ed un uso delle percussioni che definiremo quasi omeopatico, dando prova di una grande sensibilità musicale.

Valerio Scrignoli

Jazz guitarist/Composer
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